Venerdì 25 novembre alle ore 17:00
Sala Borgogni (ex Elsa Morante)
Via Gianpaolo Orsini 44 – Firenze
Presentazione del libro di Corrado Basile
“Il biennio rosso ungherese 1918-1919”
Dal 21 marzo al primo di agosto 1919, per 132 giorni, in Ungheria operò una dittatura proletaria che avrebbe potuto estendere all’Occidente la rivoluzione che aveva portato al potere i bolscevichi nell’ex impero zarista.
I due fenomeni erano strettamente collegati.
Le contraddizioni interimperialistiche e l’andamento negativo della prima guerra mondiale portarono al collasso dell’impero asburgico.
I poteri forti borghesi si unirono al conte Karolyi, diedero luogo alla “rivoluzione dei crisantemi”; proclamarono la repubblica e cercarono di salvarsi. La protesta sociale, però, cresceva sempre di più. I socialdemocratici erano il puntello essenziale dell’esperienza legata al nome del conte Károlyi.
Queste forze si ritrassero impaurite di fronte alle pretese delle potenze vincitrici della guerra, soprattutto della Francia, che voleva smembrare il paese per imporre il suo controllo sull’area danubiana e rafforzare il cordone sanitario contro il bolscevismo.
I socialdemocratici svoltarono allora «a sinistra» e si rivolsero ai rivoluzionari guidati da Béla Kun, da poco raccolti nel partito comunista ungherese.
Incautamente il partito comunista accettò l’offerta dei socialdemocratici. Fu realizzata l’unificazione dei due partiti operai. Il 21 marzo fu proclamata la dittatura del proletariato e venne costituito un Consiglio rivoluzionario di governo.
Ma le differenze tra la politica della dittatura ungherese e quella di Mosca fecero sì che le speranze del proletariato, e di tutti i paesi, andassero deluse. La Comune di Budapest finì in una tragedia, il paese fu investito dal «terrore bianco», a causa dell’intervento militare degli Stati dell’Intesa e per il tradimento della socialdemocrazia.
A parte alcuni singoli elementi, il partito socialdemocratico in realtà aveva accettato soltanto strumentalmente il programma comunista e appoggiato il Consiglio rivoluzionario di governo prendendovi parte, in attesa di potersi accordare con gli imperialisti vincitori della guerra mondiale e con i controrivoluzionari magiari.
Dalla vicenda della dittatura proletaria in Ungheria nel 1919 il movimento operaio avrebbe dovuto prendere spunto per rafforzare nei suoi ranghi la convinzione che la politica rivoluzionaria non si poteva basare su suggestioni e impressioni. La storia dei comunisti ungheresi nel 1919 fu quella di una serie di compromissioni successive. Esse furono molteplici e l’abbaglio sulla natura della socialdemocrazia fu solo il primo tra gli errori commessi, che lasciarono un segno sempre più marcato nei rapporti di classe, indebolendo il proletariato, fino a che il paese fu investito dal «terrore bianco».
Giuseppe Gambino